Opzioni di ricerca
Home Media Facciamo chiarezza Studi e pubblicazioni Statistiche Politica monetaria L’euro Pagamenti e mercati Lavorare in BCE
Suggerimenti
Ordina per

Consolidamento bancario, innovazione e accesso al credito

Discorso di Lorenzo Bini Smaghi, Membro del Comitato esecutivo della BCECESIFINFirenze, 10 dicembre 2007

1. Introduzione [1]

Signore, Signori,

Vorrei innanzitutto ringraziare per l’invito a partecipare a questa conferenza, su un tema così importante, non solo a livello europeo ma anche locale.

Come sapete, stiamo assistendo a un’ondata di operazioni di consolidamento nel settore finanziario senza precedenti. I cambiamenti normativi e tecnologici hanno determinato nella gran parte dei paesi un numero di fusioni e acquisizioni bancarie senza precedenti negli ultimi venti anni. Si sono registrate di recente anche fusioni e acquisizioni transfrontaliere, soprattutto in Europa.

Il processo di consolidamento bancario ha indotto notevoli cambiamenti in questo settore, ma ha avuto anche conseguenze importanti per l’intera economia. Il mio intervento odierno verterà soprattutto sulle implicazioni di questi recenti sviluppi per le condizioni di finanziamento delle piccole e medie imprese, un tema particolarmente sensibile nelle aree dove i gruppi bancari si sono integrati, o si stanno integrando.

Dopo aver descritto brevemente il processo di aggregazione in atto negli ultimi anni, vorrei esaminare, in base alle analisi disponibili nella letteratura statunitense ed europea, l’impatto che tale processo ha avuto in particolare su: i) il sistema bancario nel suo complesso; ii) la creazione di valore per gli azionisti; iii) il credito alle piccole imprese; iv) le banche di piccole dimensioni. Infine, accennerò molto sinteticamente alle possibili ripercussioni delle attuali turbolenze nei mercati creditizi.

2. Il processo di consolidamento del settore bancario

Inizio riassumendo brevemente il processo di consolidamento bancario in corso.

Negli ultimi dieci anni il numero degli enti creditizi in Europa (nell’Unione europea a 15, per essere più precisi) è diminuito di quasi il 30 per cento. Nel contempo le attività totali del sistema bancario sono aumentate di oltre il 100 per cento [2]. Questo processo ha fatto sì che la dimensione media delle banche, in termini di attività totali, sia quasi triplicata (da 1,8 miliardi a oltre 5 miliardi di euro).

In Italia, il consolidamento bancario non è stato così vivace come negli altri Stati membri dell’UE: il numero degli enti creditizi è diminuito solo del 10 per cento, le attività bancarie complessive sono aumentate del 75 per cento e la dimensione media delle banche è cresciuta del 100 per cento.

L’attività di fusione e acquisizione fra banche rappresenta il principale meccanismo con cui si è realizzato il consolidamento del settore. Questa attività è aumentata in Europa per numero di operazioni effettuate, per volumi coinvolti, nonché in termini di operazioni transfrontaliere. [3] Negli ultimi 10 anni si sono avute oltre 800 operazioni, per un controvalore stimato a 500 miliardi di euro. Soltanto in Italia hanno avuto luogo circa 200 operazioni per un controvalore di 100 miliardi di euro. Nel complesso, la spinta verso il consolidamento nel settore bancario è stata importante.

Le operazioni transfrontaliere sono state anch’esse numerose negli ultimi anni; più di 100 solo negli ultimi 2 anni in Europa. Negli ultimi 3 anni è cresciuto in modo sostanziale il valore medio delle operazioni, anche senza considerare casi eclatanti come la recente acquisizione di ABN Amro da parte di RBS, Santander e Fortis. In Italia, le operazioni transfrontaliere sono state poco numerose e di valore medio limitato, sia a paragone con altri Paesi europei, sia in relazione alle operazioni puramente domestiche.

Le ragioni principali di questa ondata senza precedenti di consolidamento nel settore finanziario sono comuni a quasi tutti i paesi. I cambiamenti radicali nella normativa e nella tecnologia hanno indotto le istituzioni finanziarie ad aumentare l’efficienza e ad incrementare la clientela, ampliando la copertura geografica e la gamma dei prodotti offerti. L’obiettivo di aumentare le quote di mercato per contrastare il calo tendenziale dei margini è stato in larga parte perseguito attraverso fusioni e acquisizioni, che consentono alle istituzioni finanziarie di crescere rapidamente di dimensioni e al contempo acquisire conoscenze su nuovi prodotti e mercati. [4]

Tramite le economie di scala e di gamma ottenute, le fusioni possono aumentare l’efficienza e potenzialmente anche concorrere a una maggiore diversificazione del portafoglio. Inoltre, rimuovendo il management meno efficiente, l’attività di fusione e acquisizione viene usata anche come strumento di disciplina per migliorare la performance nel sistema bancario. [5]

3. Gli effetti sul sistema bancario

Le aggregazioni bancarie possono accrescere l’efficienza complessiva del sistema finanziario attraverso vari meccanismi. [6] Innanzitutto, si generano banche più grandi che possono aver accesso a tecnologie in grado di contenere i costi o di ripartire i costi fissi su una base più ampia, riducendo così i costi medi. La maggiore efficienza può derivare anche dalle economie di gamma. Le nuove entità create dalle aggregazioni hanno l’opportunità di penetrare nuovi mercati e di effettuare vendite incrociate di prodotti a una clientela più vasta. Infine, il consolidamento può migliorare l’efficienza di gestione. L’entità delle economie di scala e di gamma sfruttabili potrebbe tuttavia rivelarsi più modesta di quanto si pensi comunemente. Inoltre, l’aumento di efficienza gestionale potrebbe disperdersi in istituzioni grandi e complesse.

Vi sono in effetti dei costi derivanti dell’attività di fusione e acquisizione, che assumono varie forme; il consolidamento di organizzazioni diverse non è un compito semplice e potrebbe comportare inefficienze.

L’attività di fusione e acquisizione ha anche un costo per la collettività, che può concretizzarsi sotto varie forme. In primo luogo, per alcuni prodotti finanziari (specie i depositi e i prestiti alle piccole imprese) i mercati sono prevalentemente locali, per cui le aggregazioni fra operatori con ampie quote di mercato potrebbero determinare variazioni sfavorevoli dei prezzi, a scapito dei consumatori. Le fusioni e acquisizioni, poi, potrebbero concorrere a modificare il comportamento delle banche coinvolte in tali operazioni: come avrò modo di approfondire in seguito, infatti, l’attenzione potrebbe spostarsi dal credito destinato alle piccole imprese (che si basa su informazioni non codificate, ovvero soft information, reperite a livello locale) a prodotti meno mirati (che sono più facili da gestire all’interno di grandi organizzazioni). Infine, a seconda del tipo di attività e del territorio, le fusioni e acquisizioni potrebbero ridurre il grado di concorrenza nel settore, a scapito della clientela.

Di conseguenza, dal momento che il processo di fusione e acquisizione bancaria interessa non solo le banche bensì anche la rispettiva clientela, diventa arduo quantificare l’incremento di efficienza per il sistema economico nel suo insieme. Un primo passo importante verso l’analisi di alcune potenziali ricadute sulla collettività (o ricadute esterne), e in particolare sulla clientela bancaria, consiste nell’esaminare la creazione di valore per gli azionisti e i depositanti delle banche. Questo è l’argomento che tratterò ora. Passerò poi ad analizzare l’impatto delle fusioni e acquisizioni bancarie sul finanziamento delle piccole imprese e sulle iniziative imprenditoriali.

4. La creazione di valore per gli azionisti

Il messaggio principale che si ricava dalla letteratura accademica è che il consolidamento bancario produce vantaggi relativamente modesti per gli azionisti. Vi è scarsa evidenza empirica che le fusioni consentono economie di gamma o accrescono in modo significativo l’efficienza di gestione. [7] Tuttavia, emerge che la creazione di valore ottenuta da fusioni e acquisizioni bancarie è aumentata nelle operazioni più recenti, forse perché, trattandosi di operazioni complesse, si è acquisita maggiore esperienza. [8]

Risulta inoltre dalla ricerca finora svolta che la maggior parte dei guadagni di valore riconducibili a fusioni bancarie derivano dall’opportunità di ridurre i costi, eliminando sovrapposizioni di attività e consolidando le operazioni interne. [9] Il valore per gli azionisti, poi, risulta più elevato nel caso di fusioni che riguardano sia l’attività sia la base territoriale. [10]

Quanto al rischio, vi sono indicazioni che l’attività di fusione e acquisizione riduce il rischio bancario. L’evidenza cross-section segnala che le determinanti primarie della diminuzione del rischio bancario derivano dalla maggiore diversificazione, nonché, anche se in misura minore, da un’accresciuta sinergia. [11]

5. Le implicazioni per le piccole imprese

Vorrei ora esaminare le implicazioni del processo di consolidamento bancario sull’accesso al credito delle piccole e medie imprese e delle iniziative imprenditoriali in generale.

Il consolidamento bancario comporta - per definizione - una riduzione del numero degli enti creditizi e un aumento della loro dimensione. Questo fenomeno, che incide sull’efficienza e sulla concorrenza nel settore, ha un effetto sull’accesso al credito delle piccole o nuove imprese.

I risultati di ricerche accademiche basate su dati relativi agli Stati Uniti mostrano che il credito alle piccole imprese aumenta a seguito della fusione tra banche piccole, ma tende a diminuire nel caso di fusioni che coinvolgono istituti di grande dimensione. Nel breve periodo, le piccole imprese potrebbero dunque risentire negativamente della fusione tra grandi istituti. Questo effetto può essere in parte compensato nel tempo dalla crescita di finanziamenti da parte di altre banche attive nello stesso mercato. In altre parole, se il sistema bancario è concorrenziale, qualora il nuovo, più grande (dopo la fusione), soggetto riducesse il credito alle piccole imprese, tendono ad emergere altri attori creditizi che nel tempo lo sostituiscono. [12] Quindi, in termini di volume di credito alle piccole imprese, le fusioni e acquisizioni bancarie non sembrano avere un impatto negativo nel medio periodo. Tuttavia, non è da escludere un inasprimento delle condizioni applicate sui prestiti alle piccole imprese. [13] L’evidenza empirica indica che i tassi di interesse si riducono se la banca acquirente e quella acquisita operano tendenzialmente negli stessi segmenti di mercato e dispongono, pertanto, di un maggiore potenziale per ridurre i costi. I tassi aumentano invece quando vi è un elevato grado di coincidenza fra i segmenti di mercato e quindi la fusione accresce il potere di mercato del soggetto bancario. [14]

L’evidenza empirica derivante dalle fusioni che hanno dato vita a colossi bancari negli Stati Uniti mostra che questo tipo di operazioni ha in genere comportato creazione di valore per gli azionisti ma perdite per i prenditori di fondi, soprattutto nel caso di clienti di piccole dimensioni e con difficile accesso al credito oppure se l’acquisizione è avvenuta all’interno dello stesso mercato. [15] Nel complesso, l’esperienza statunitense mostra che l’impatto delle fusioni e acquisizioni bancarie sui prestiti alle piccole imprese dipende dall’obiettivo dell’operazione, ossia accrescere il potere di mercato oppure ridurre i costi e conseguire dunque guadagni di efficienza.

Queste conclusioni appaiono ancor più robuste quando si analizza l’evidenza europea, perché nel nostro continente le banche rappresentano la principale fonte di finanziamento per molte imprese. [16] Ad esempio, dai dati italiani emerge che le fusioni e acquisizioni bancarie hanno un effetto avverso sul credito, specie se dopo l’operazione si interrompe il rapporto di clientela. L’effetto dura per circa per tre anni e viene quindi riassorbito, a indicazione che le imprese sono in grado di compensare nel tempo lo shock negativo. [17] Inoltre, sempre secondo i dati italiani, i tassi di interesse sui prestiti bancari si riducono quando si aggregano istituti che detengono quote esigue del mercato locale. Le fusioni di grandi banche tendono invece a produrre il risultato opposto. [18]

Un altro risultato interessante, verificato in vari paesi, è che appare più la cessazione del rapporto della clientela fidelizzata della banca acquisita anziché quella della banca acquirente. Questi effetti sono maggiormente pronunciati per i clienti più piccoli che non intrattengono altri rapporti di prestito. [19] Inoltre, sembra emergere che le fusioni tendono a ridurre il valore azionario delle piccole imprese quotate che sono clienti della banca acquisita; tale riduzione è tanto più marcata quanto più grande è la banca acquisita. [20]

6. Il ruolo delle banche di piccole dimensioni

Nel complesso, l’evidenza europea è alquanto simile a quella statunitense. Se, da una parte, le piccole aziende possono risentire negativamente delle fusioni e acquisizioni bancarie, specie quando gli istituti coinvolti non sono di dimensioni esigue, dall’altra sembrerebbe che le piccole banche abbiano un ruolo da svolgere. La principale peculiarità del credito alle piccole e medie imprese (PMI) risiede nelle informazioni soft generate nel processo decisionale, mentre le grandi banche ricorrono maggiormente alle informazioni hard. Le informazioni hard si basano principalmente su dati contabili e meno sulla conoscenza personale, né sulla continuità dell’interazione fra prestatore e prenditore; esse sono più facili da gestire in grandi organizzazioni. [21] Data la rilevanza delle informazioni soft per i prestiti alle piccole imprese, l’offerta di credito a queste ultime può subire effetti negativi dal processo di concentrazione bancario, poiché le banche più grandi nate da aggregazioni tendono a rifuggire da rapporti di clientela relazionali ( relationship-based lending) a favore di rapporti di tipo transattivo ( transaction-based lending). L’evidenza empirica suggerisce che le piccole banche utilizzano in maggior misura informazioni soft per l’approvazione dei prestiti e rivestono quindi un ruolo cruciale per il finanziamento delle PMI. [22] Le fusioni e acquisizioni tra piccole banche accrescono la loro efficienza e il volume del credito alle PMI. Queste, poi, finanziano le imprese più rischiose che generalmente sono PMI. [23]

Queste conclusioni si applicano anche alle nuove imprese o a quelle che non hanno una lunga storia alle spalle. L’evidenza empirica suggerisce che il consolidamento bancario, soprattutto tra banche di grandi dimensioni, influisce negativamente sul tasso di natalità delle imprese, che viene determinato principalmente dalle banche acquirenti. Le concentrazioni tra banche di dimensioni medio-piccole sembrano invece esercitare un impatto positivo sullo sviluppo di nuove imprese, anche se questi effetti sono in genere di breve durata. [24] In sintesi, l’impatto delle fusioni e acquisizioni bancarie sulle nuove imprese appare analogo a quello esercitato sulle piccole imprese.

7. Le prospettive future

Vorrei ora svolgere - in conclusione - alcune brevi considerazioni sugli sviluppi dell’attuale fase di turbolenza finanziaria e sull’impatto che questa potrà avere sui processi di aggregazione e sull’accesso al credito per le imprese. Ovviamente è molto difficile a questo stadio fare previsioni, e mi asterrò dal farle, ma cercherò di identificare alcune ipotesi di lavoro.

La crisi del subprime potrebbe produrre almeno tre tipi di effetti. Innanzitutto, appare probabile che per un certo periodo di tempo le operazioni di cartolarizzazione verranno ridimensionate almeno per qualche tempo. Queste operazioni, che hanno un effetto moltiplicatore per le banche e consentono di usare al meglio il capitale, si sono però dimostrate di non facile valutazione, anche per le agenzie di rating. Ci sarà una tendenza a rivedere i modelli di valutazione delle attività non liquide in generale, da parte delle agenzie di rating e delle banche stesse.

In secondo luogo, gli intermediari finanziari, in particolare le banche, dovranno rivedere i metodi di gestione della liquidità. La fame di liquidità che osserviamo attualmente e che continua a spingere le banche a rifinanziarsi ampiamente, direttamente con le autorità monetarie piuttosto che sul mercato monetario, dimostra che il rischio di non riuscire a vendere rapidamente sul mercato alcune attività è stato sottostimato. L’auspicabile ritorno alla normalità dei mercati, dopo la fine dell’anno, richiederà un ripensamento, da parte delle singole istituzioni, dei modelli di valutazione delle disponibilità liquide e del rischio di dipendere, per il fabbisogno di tesoreria, da altre controparti che potrebbero sperimentare lo stesso tipo di difficoltà.

In terzo luogo, potrebbe emergere, per qualche intermediario finanziario, la necessità di accrescere il capitale per assorbire eventuali perdite o per rifinanziare veicoli che finora erano portati a bilancio “sotto la linea” e che, con Basilea II a partire dall’anno prossimo, dovranno essere portate sopra la linea.

Che impatto avranno questi sviluppi sul processo di aggregazione bancaria?

Da un lato, le banche potrebbero concentrarsi soprattutto su se stesse nei prossimi mesi, per rivedere l’organizzazione interna, risanare i bilanci e ristrutturarsi. Il processo di concentrazione potrebbe dunque subire una pausa. Inoltre, condizioni di finanziamento più restrittive potrebbero scoraggiare fusioni e acquisizioni, che sono spesso finanziate nel breve termine tramite prestiti. D’altra parte, una possibile via per rafforzare la solidità patrimoniale potrebbe essere, in alcuni casi, di procedere proprio a fusioni o ad acquisizioni. Si è assistito di recente al rafforzamento del capitale di alcune grandi banche con l’entrata di nuovi azionisti, in particolare stranieri. L’emergere di fondi sovrani di grandi dimensioni, in paesi dove il sistema finanziario necessita di essere rafforzato, rappresenta uno sviluppo interessante per il sistema finanziario internazionale, anche se pone una serie di interrogativi in termini di trasparenza, finalità e stabilità. Nel complesso, non si può comunque escludere che il processo di concentrazione possa proseguire nei prossimi mesi, e interessare importanti istituzioni. I recenti sviluppi hanno anche mostrato che il processo di concentrazione non è necessariamente unidirezionale, nel senso dell’aggregazione. Abbiamo assistito in particolare alla disgregazione di un istituto europeo di grandi dimensioni, che forse era cresciuto in modo eccessivo. La necessità di rafforzare la base patrimoniale di alcune banche potrebbe indurre al ridimensionamento o alla dismissione di alcuni rami aziendali, creando opportunità di crescita per altre istituzioni.

Quali sono gli effetti sul credito alle imprese, in particolare a quelle medio-piccole?

Da un lato l’esigenza di ristrutturazione e di rafforzamento patrimoniale, oltre al prosciugamento delle cartolarizzazioni, potrebbe indurre a una decelerazione del credito da parte delle banche, in particolare quelle più colpite dalle recenti turbolenze. D’altra parte, il mantenimento della redditività delle banche potrebbe indurre a rafforzare il legame con i propri clienti, soprattutto quelli di miglior qualità, in termini di redditività e trasparenza di bilanci. Da questo punto di vista, il credito alle piccole e medie imprese, che è meno standardizzato, potrebbe soffrirne. Il prosciugamento del mercato delle cartolarizzazioni sarebbe ulteriormente penalizzante per questo settore. Tuttavia, l’uscita da certi tipi di attività da parte di alcune banche, in particolare quelle più grandi che hanno maggiori possibilità di razionalizzazioni, potrebbe creare l’opportunità per i concorrenti di entrare su nuovi mercati, alla ricerca di nuovi clienti. Di conseguenza, il grado di concorrenza bancaria potrebbe notevolmente aumentare nei mesi a venire, e questo potrebbe andare a vantaggio della clientela finale.

È ancora presto per prevedere quali di questi effetti tenderà a prevalere nei prossimi mesi. La situazione potrebbe essere molto diversificata, tra paesi, settori e istituzioni.

I dati più recenti delle condizioni di credito indicano un ulteriore innalzamento del costo del finanziamento per le imprese non finanziarie, e questo vale soprattutto per l’indebitamento, escludendo il finanziamento tramite il mercato azionario. Sebbene il tasso overnight sia rimasto praticamente invariato tra giugno e settembre 2007, i tassi d’interesse bancari a breve termine sui prestiti alle imprese sono aumentati di circa mezzo punto percentuale nell’area dell’euro, e di una quantità simile in Italia. Quanto ai tassi d’interesse a lungo termine, quelli di mercato sono calati di circa mezzo punto percentuale tra giugno e settembre, ma i tassi a lungo termine sui prestiti bancari sono aumentati di 15-30 punti base. La Bank Lending Survey della banca centrale Europea, pubblicata a fine settembre, indica inoltre che le condizioni di credito alle imprese sono divenute più restrittive in conseguenza delle turbolenze di mercato. E’ importante sottolineare che questo inasprimento sembra essere stato più forte per le imprese di maggiori dimensioni, e questo è in linea con l’evidenza disponibile per gli Stati Uniti e il Regno Unito. Ciò nonostante, il fatto che il costo del finanziamento bancario sia aumentato più del costo totale, che tiene conto anche del finanziamento tramite il mercato, potrebbe suggerire che le condizioni di credito siano divenute più sfavorevoli per le imprese che dipendono maggiormente dal credito bancario, in particolare quelle di piccole e medie dimensioni.

Quanto alle ragioni che motivano un diverso atteggiamento delle banche nell’attività creditizia, la Bank Lending Survey di fine settembre evidenzia un certo ridimensionamento delle aspettative di crescita sia in generale che a livello settoriale, ma anche il costo e la disponibilità di finanziamento per le banche, che sono alla radice delle presenti tensioni di mercato. In effetti, in risposta ad una domanda specificamente inserita nell’ultima versione della rilevazione, le banche hanno riportato un sensibile peggioramento delle proprie condizioni di finanziamento non solo sul mercato interbancario, ma più in generale su tutti i titoli in passivo e a tutte le scadenze.

Malgrado le condizioni di offerta più sfavorevoli, la domanda di credito e il credito effettivamente erogato sono rimasti molto dinamici anche nel terzo trimestre del 2007, non solo nell’area euro nel suo insieme ma anche in Italia. Questo suggerisce che, nel complesso, non si può concludere che una stretta creditizia sia attualmente in corso nell’area euro. Le condizioni di offerta di credito rimangono più favorevoli rispetto a precedenti rilevazioni. Questo non esclude una evoluzione in prospettiva meno favorevole, in linea con le intenzioni espresse nelle inchieste.

Queste considerazioni suggeriscono cautela nella valutazione delle evoluzioni a venire. Troppe volte in passato previsioni affrettate si sono dimostrate errate, in un senso o nell’altro. È dunque importante monitorare attentamente le condizioni di fondo dei mercati, invitando le istituzioni finanziarie a fare al più presto chiarezza, non solo sulla situazione effettiva dei loro bilanci ma anche delle loro strategie future, in particolare per quel che riguarda il rapporto con la clientela.

Grazie per l’attenzione.

Riferimenti bibliografici

Amel, D., C. Barnes, F. Panetta e C. Salleo (2004), “Consolidation and efficiency in the financial sector: A review of the international evidence”, Journal of Banking and Finance, vol. 28, n. 10.

BCE (2007), “Il finanziamento delle piccole e medie imprese nell’area dell’euro”, Bolletino mensile della BCE - Agosto 2007.

Berger, A.N., A. Saunders, J.M. Scalise e G.F. Udell (1998), “The effects of bank mergers and acquisitions on small business lending”, Journal of Financial Economics, vol. 50, n. 2, pp. 187-229.

Berger, A.N., L.G. Goldberg e L.J. White (2001), “The Effects of Dynamic Changes in Bank Competition on the Supply of Small Business Credit”, European Finance Review, vol. 5, n. 1-2, pp. 115-139.

Berger, A.N., N.H. Miller, M.A. Petersen, R.G. Rajan e J.C. Stein (2005), “Does function follow organization form? Evidence from the lending practices of large and small banks”, Journal of Financial Economics, vol. 76, n. 2, pp. 237-269.

Berger, A.N., R.S. Demsetz e P.E. Strahan (1999), “The consolidation of the financial services industry: Causes, consequences, and implications for the future”, Journal of Banking and Finance, vol. 23, n. 2.

Black, S.E. e P.E. Strahan (2002), “Entrepreneurship and Bank Credit Availability”, The Journal of Finance, vol. 57, n. 6, pp. 2807-2833.

Bonaccorsi di Patti, E. e G. Gobbi (2007), “Winners or Losers? The Effects of Banking Consolidation on Corporate Borrowers”, The Journal of Finance, vol. 62, n. 2.

Carow, K., E. Kane e R. Narayanan (2006), “How Have Borrowers Fared in Banking Megamergers?”, Journal of Money, Credit and Banking, vol. 38, n. 3.

Degryse, H., N. Masschelein e J. Mitchell (2005), SMEs and bank lending relationships: The impact of mergers, Discussion Paper del CEPR, n. 5061.

DeLong, G. (2001), “Stockholder gains from focusing versus diversifying bank mergers”, Journal of Financial Economics, vol. 59, n. 2, pp. 221-252.

DeLong, G. e R. DeYoung (2004), Learning by Observing: Information Spillovers in the Execution and Valuation of Commercial Bank M&As, Working Paper della Federal Reserve Bank of Chicago, n. 17.

Erel, I. (2006), The Effect of Bank Mergers on Loan Prices: Evidence from the U.S., Working Paper del Charles A. Dice Center, Ohio State University, n. 19.

Focarelli, D., F. Panetta e C. Salleo (2002), “Why Do Banks Merge?”, Journal of Money, Credit and Banking, vol. 34.

Francis, B., I. Hasan e H. Wang (2007), Bank Consolidation and New Business Formation, Working Paper.

Gorton, G. e R. Rosen (1995), “Corporate control, portfolio choice, and the decline of banking”, The Journal of Finance, vol. 50, n. 5, pp. 1377-1420.

Houston, J.F. e M.D. Ryngaert (1994), “The overall gains from large bankmergers”, Journal of Banking and Finance, vol. 18, n. 5.

Houston, J.F., C.M. James e M.D. Ryngaert (2001), “Where do merger gains come from? Bank mergers from the perspective of insiders and outsiders”, Journal of Financial Economics, vol. 60, n. 2-3, pp. 285-331.

Jensen, M. e R. Ruback (1983), “The market for corporate control: The scientific evidence”, Journal of Financial Economics, vol. 11.

Jiménez, G., S. Ongena, J.L. Peydró-Alcalde e J. Saurina (2007), Hazardous Times for Monetary Policy: What Do Twenty-Three Million Bank Loans Say About the Effects of Monetary Policy on Credit Risk?, Discussion Paper del CEPR, n. 6514.

Karceski, J., S. Ongena e D.C. Smith (2005), “The impact of bank consolidation on commercial borrower welfare”, The Journal of Finance, vol. 60, n. 4, pp. 2043-2082.

Penas, M.F. e H. Unal (2004), “Gains in bank mergers: evidence from the bond markets”, Journal of Financial Economics, vol. 74, pp. 149-180.

Piloff, S.J. (1996), “Performance changes and shareholder wealth creation associated with mergers of publicly traded banking institutions”, Journal of Money, Credit and Banking, vol. 28, n. 3(1).

Roll, R. (1986), “The Hubris Hypothesis of Corporate Takeovers”, The Journal of Business, vol. 59.

Ryan, S.J. (1999), Finding value in bank mergers, intervento al convegno sulla struttura e sulla concorrenza nel settore bancario, organizzato dalla Federal Reserve Bank of Chicago.

Sapienza, P. (2002), “The effects of banking mergers on loan contracts”, The Journal of Finance, vol. 57, n. 1, pp. 329-368.

Stein, J. (2002), “Information production and capital allocation: Decentralized versus hierarchical firms”, The Journal of Finance, vol. 57, n. 5, pp. 1891-1921.

  1. [1] Le opinioni espresse appartengono all’autore. Ringrazio J.-L. Peydró-Alcalde per il suo contributo alla preparazione di questo intervento.

  2. [2] Elaborazioni della BCE.

  3. [3] Elaborazioni della BCE.

  4. [4] Focarelli, Panetta e Salleo (2002).

  5. [5] Jensen e Ruback (1983).

  6. [6] Si veda Amel, Barnes, Panetta e Salleo (2004).

  7. [7] Si veda ad esempio Houston e Ryngaert (1994), Piloff (1996), e Berger et al. (1999).

  8. [8] DeLong e DeYoung (2004).

  9. [9] Houston,James e Ryngaert (2001).

  10. [10] DeLong (2001).

  11. [11] Penas e Unal (2004).

  12. [12] Si veda Berger et al. (1998), e Berger et al. (2001).

  13. [13] Con riferimento anche ai differenziali fra i tassi di interesse sui prestiti alle piccole imprese e i tassi di interesse applicati alle attività meno rischiose nell’economia, aventi la stessa scadenza.

  14. [14] Erel (2006).

  15. [15] Cfr. Carow et al. (2006), op. cit.

  16. [16] Si veda BCE (2007).

  17. [17] Bonaccorsi di Patti e Gobbi (2007).

  18. [18] Sapienza (2002).

  19. [19] Degryse, Masschelein e Mitchell (2005).

  20. [20] Karceski, Ongena e Smith (2005).

  21. [21] Stein (2002).

  22. [22] Berger et al. (2005).

  23. [23] Jiménez et al. (2007).

  24. [24] Cfr. Francis et al. (2007) e Strahan (2002).

CONTATTI

Banca centrale europea

Direzione Generale Comunicazione

La riproduzione è consentita purché venga citata la fonte.

Contatti per i media